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Cultura Selfie: l’autoscatto come forma di racconto e appartenenza

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Ce ne siamo accorti tardi. Mentre migliaia di ragazzini continuavano a scattare #selfie a ripetizione, dalle nostre posizioni privilegiate di osservatori del Web, abbiamo realizzato in ritardo come non è più il Web a definire nuove tendenze e linguaggi, ma l’universo Mobile. I genietti di Instagram lo capirono diversi anni fa e possiamo dire che l’intuizione è stata ben ripagata.

Mentre negli uffici delle agenzie digital i direttori creativi impazziscono per trovare nuovi esaltanti significati al concetto di storytelling, i Millennials stanno utilizzando un nuovo linguaggio per definirsi, riconoscersi, affermarsi. Condividere situazioni e stati d’animo.

In una parola, raccontarsi.

Non c’è voluto molto perché i device mobile diventassero il first screen [ricerca in pdf]. All’interno di essi ogni singolo proprietario decide chi guardare e cosa trasmettere. Duck faces, Gif animate, emoticons, meme con improbabili espressioni del mondo animale: son questi i nuovi codici di comunicazione. Per averne conferma basta aprire Buzzfeed o uno dei tanti giornali “young oriented”. Contate quanti animali e quante classifiche sono visibili dalla homepage (no, fatelo davvero!).

Perché non comprano i nostri prodotti e continuano a scattarsi e condividere in continuazione inutili foto profilo?
(tipica frase da “direttore marketing 2.0″)

No, non è questo il nativo digitale a cui si fa riferimento

Dai uno smartphone in mano ad un nativo digitale e lui se ne strainfischierà delle autostrade di senso che abbiamo faticosamente definito negli ultimi 15 anni di Web. Social Networking e Online Reputation? Privacy e cura dei contenuti? Ma neanche per idea. La sua priorità sarà dire al mondo, al suo mondo, che lui esiste. Il modo più semplice di farlo? Condividere quanto ha di unico: il suo viso nella sua vita. Tradotto: l’autoscatto. Selfie per l’appunto.

L’espressione Selfie esiste dal 2002 ma la consacrazione dell’Oxford Dictionary come parola dell’anno 2013 ne ha decretato la definitiva popolarità come trend digitale di narcisismo estremo. Ai media e al mondo, non di certo ai Millennials, a cui non saranno neanche giunte voci sull’incremento del 17.000% nell’uso della parola nei siti, magazine e media in genere.

Le ragazzine Obama mostrano al papà, e non solo, come si usa un iPhone
Mr. Obama coglie la prima occasione per rispondere alle care figliole mentre mamma Michele sembra non gradire (ehm..peccato che la prima occasione era il funerale di Nelson Mandela, non la sagra dello stufato di manzo in Texas!)

Perché? Perché? Perché?

Ancor prima che la pratica onanistica delle #Selfie entrasse nei salotti di Cielo Stop&Gol, scienziati e ricercatori hanno cercato di dare ordine alle motivazioni capaci di giustificare un’ascesa così rapida, al di là della contagiosa moda del momento. Dallo studio della propria mimica facciale al bisogno di ricevere complimenti pubblici, dall’insicurezza di fondo ad una forma di esibizionismo, le spiegazioni sono complesse e il più delle volte intrecciate tra loro.

James Franco:
Io sono abbastanza deluso quando guardo un account e non vedo alcun selfie, perché voglio sapere con chi ho a che fare. Nella nostra epoca di social networking il selfie è il nuovo modo di guardare qualcuno negli occhi e dire: “Ciao, questo sono io”.
(In difesa dei Selfie The Meanings of the Selfie)

Oltre alle spiegazioni condivise da psicologi e antropologi, un elemento assolutamente sottovalutato è la necessità di connettersi. Le selfie, per quanto assurde, idiote e alla lunga noiose possan sembrare, rappresentano una semplice manifestazione del bisogno di comunicare. Condividere la propria esistenza verso i propri amici. Dove con amici s’intende la cerchia allargata di contatti online.
Sono sì forme di vanità e non troppo velate richieste di approvazione sociale, ma anche una forma di narrazione, attraverso cui esprimersi e raccontare le proprie storie. Partecipare. Anche quando, come nel caso di un funerale, il contesto non è appropriato. Perché nel 2014 è più importante essere connessi, e quindi esistere, che essere appropriati.

Non mi spaventa la frequente demenzialità e la discutibile eleganza degli scatti. L’aspetto che mi dà da pensare di questa epidemia di narcisismo è la dipendenza dall’attenzione e dalla reputazione. Il rinnovato bisogno di approvazione attraverso pollicioni e cuoricini, retweet e commenti, meglio ancora se carichi di faccette sorridenti. Il successo viene ridefinito come la capacità di attirare attenzione e stimolare visibilità e passaparola attraverso ciò che condividiamo. Come se la popolarità si misurasse esclusivamente su metriche qualitative. Più impatto hai, maggiore è il successo raggiunto.

Qualcuno può obiettare che queste dinamiche fanno parte di format consolidati, come le lacrime nei reality in tv o i flame delle prime fasi del social Web, quando i blogger si litigavano la classifica di BlogBabel. Eppure abbiamo detto che i Millennials non guardano la Tv, se non su YouTube. E l’unico blog che conoscono è, se va bene, Tumblr!

Dopo la Selfie coi giovani attivisti di AC, il prossimo passo di “super” Papa Bergoglio sarà la presenza in un video di Rihanna. La reputazione della Chiesa Cattolica non è mai stata così pop!

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